rassegna stampa

http://alfiosironi.wordpress.com/2008/01/20/leccidio-di-valaperta-e-le-responsabilita-di-formigoni/
L’eccidio di Valaperta e le responsabilità di Formigoni
20, Gennaio, 2008

Questa settimana in occasione della seconda giornata di commemorazione
dell’eccidio partigiano di Valaperta, prevista dall’ANPI e da alcune
amministrazioni comunali della zona, mi è stato chiesto di fare un
riassunto storico, cercando, in particolare, di mettere in luce il ruolo
di Emilio Formigoni nella vicenda. Riporto di seguito quanto emerso
dall’analisi della documentazione disponibile e dalla chiaccherata con i
ragazzi del Circolo Libertario L’Erba. L’articolo era destinato a
Casateonline.it, lo stile è un po’ formale.

Alla vigilia della seconda giornata di commemorazione del tragico
eccidio partigiano di Valaperta, che avrà inizio domenica 13 gennaio,
alle ore 10, presso la parrocchia dell’omonima frazione, proviamo a
ripercorrere i fatti accaduti in quel 3 gennaio del 1945. A che punto
sono le ricerche storiche al riguardo? Cosa sappiamo con certezza?
L’eccidio di Valaperta risulta argomento storico di grande delicatezza
in quanto suscettibile di una parziale strumentalizzazione di matrice
politica, non è un caso che la maggior parte degli studi, delle ricerche
e degli approfondimenti in merito siano stati finora condotti con buona
volontà proprio da gruppi e associazioni mossi dai valori di quello che,
con un etichetta generica, potremmo chiamare antifascismo. Allo stesso
modo, non è casuale, che ad ogni commemorazione dell’eccidio si senta
nominare in qualche modo il nome del Presidente regionale Roberto
Formigoni, figlio di quell’Emilio che la maggior parte delle
testimonianze raccolte attestano quale responsabile delle operazioni
violente e della fucilazione.
Non è qui nostra intenzione sostenere che le ricerche possano essere
viziate da una cornice analitica di tipo ideologico, ma sarebbe comunque
interessante valutare fino a dove dicano il vero, chiarendo le reali
colpe e il ruolo di Emilio Formigoni nella vicenda, al di là dei colori
che muovono l’analisi. In questa sede vorremmo semplicemente tracciare –
senza ambizione di esaustività -, in base ai documenti storici presenti
e alle testimonianze raccolte finora, la successione temporale degli
avvenimenti.

Riferendoci alla principale documentazione storica apportata durante la
propria relazione da Gabriele Fontana dell’Associazione Banlieu di
Osnago nella sera del 27 dicembre presso la sala civica di Cascina
Bracchi, a quei tempi la frazione di Valaperta era costituita da poche
cascine, da qualche casa operaia e da un’osteria. Per i partigiani,
Valaperta, era più che altro un’area di transito, utile per
l’organizzazione dei rifornimenti da portare in montagna, laddove
effettivamente si svolgevano le operazioni di guerriglia.
Il 23 ottobre del 1944, il milite Gaetano Chiarelli, del distaccamento
della GNR di Missaglia, venne ucciso proprio a Valaperta dal partigiano
Nazzaro Vitale. Chiarelli si era recato quel giorno in paese per
prendere informazioni a proposito di un renitente alla chiamata
fascista, tale Luigi Gaiati.
Sull’episodio specifico le notizie sembrano controverse: secondo il
giornale indipendente “Diario”, e in particolare secondo l’analisi di
Marina Morpugno, Chiarelli era un fascista abbastanza “mite”, usato più
che altro come postino. Al contrario – come testimoniato dal filmato
“Ricordando Formigoni” presentato, lo stesso 27 dicembre a Cascina
Bracchi, dal Circolo L’Erba, dall’ARCI blob di Arcore e
dall’Associazione Banileue -, gli anziani di Valaperta, intervistati in
merito al temperamento di Chiarelli, lo hanno tratteggiato come “uno di
quelli che quando venivano a cercare i renitenti alla leva sparava
tranquillamente ad altezza d’uomo, anche se c’erano civili attorno”.
Secondo gli abitanti, insomma, quel giorno Chiarelli fu ucciso per via
di una reazione violenta.
Sempre seguendo le testimonianze del filmato, Chiarelli fu seppellito
velocemente in un campo di frumento e i tre partigiani scapparono per
timore di rappresaglie. Un contadino del luogo fece la spia, telefonando
al brigadiere di Missaglia e avvertendolo della scomparsa di Chiarelli.
A quel punto giunsero a Valaperta le guardie repubblichine e le Brigate
Nere, che già in molti episodi si erano segnalate come propense a
saccheggi e azioni violente. Due erano i comandanti delle Brigate Nere
presenti a Valaperta: il professor Giuseppe Gaidoni e l’ingegnere Emilio
Formigoni. Secondo i testimoni oculari, proprio Emilio Formigoni si
distinse per la propria empietà, tanto da essere ricordato ancora come
“ul pusè catif” (il più cattivo).
Dopo aver chiesto notizie del milite scomparso e non aver ottenuto
alcuna risposta, a Valaperta i fascisti appiccarono il fuoco, bruciando
parzialmente le cascine e anche il bestiame. Alcuni anziani di Valaperta
raccontano nel filmato come per l’intera notte la frazione fu in balia
delle Brigate Nere, che non esitarono a minacciare gli abitanti per
farsi consegnare il corpo del milite e i partigiani rei dell’omicidio.

Dopo il ritrovamento del cadavere di Chiarelli, i soprusi non si
fermarono e alle famiglie vennero tolte per tre mesi le tessere
alimentari. Alla fine di dicembre, furono quattro i partigiani accusati
del delitto: Nazzaro Vitale, Mario Villa, Natale Beretta e Gabriele
Colombo. In realtà, come egli stesso dichiarò prima della fucilazione, a
sparare fu Nazzaro Vitale, ma la sua dichiarazione per scagionare gli
altri condannati non servì. I quattro vennero uccisi il 3 gennaio del
1945. Secondo la relazione del medico condotto del paese, Guerrino Della
Morte – relazione documentata e ulteriormente confermata nel video dalla
testimonianza del figlio Luigi – “Verso le 10.30 del 3.1.1945 venne per
ordine del Commissario Prefettizio di Casatenovo sig. Gennaro Firmiani,
dicendomi di recarmi a Valleaperta ove era necessaria la mia presenza.
Colà giunto trovai 2 sacerdoti Don Carlo Sala e il suo coadiutore.
Dall’abitato di Vallaperta usciva il BB nero sig, Bonvecchio Giacomo, un
sottotenente giovanissimo e due militari, arrivarono poi una o due
motociclette, un motofurgone, una o due automobili e un camioncino.
Dalle macchine scesero varie persone quasi tutti in borghese armati di
mitra, sul camioncino stavano 4 partigiani che dovevano essere fucilati,
notai sul loro viso atroci sofferenze. Sopraggiunto il Commissario
Prefettizio il quale era allibito di dover assistere, ma gli fu imposto
di restare. Giunti sul posto prescelto i 4 Partigiani furono spinti
oltre la curva e scomparvero alla mia vista. Il plotone di esecuzione
era composto di 4 persone: erano presenti Ing. Emilio Formigoni, Raul
Remigi, Achille Miglioli maestro elementare, forse Parmiani e una
persona piccola di 35/40 anni, chi sparò era in borghese. Dietro il
plotone di esecuzione vi era il brigadiere Bonvecchio. Sentii sparare.
Vi era una persona sui 45 anni di media statura con un impermeabile
grigio che incitava a mirare nel segno perché alcuni di questi erano
riluttanti e sdegnati per quanto stavano per fare.
Il Vitale Nazzaro presentava evidenti segni di gravi sevizie subite in
precedenza, gli mancavano quasi tutti i denti, due erano morti subito.
Colombo e e Beretta da Arcore furono ripetutamente colpiti col mitra e
con rivoltella. Constatata la morte, segnai i nomi dei caduti, composi
le membra straziate che per quel tanto che permisero il mio spirito
scosso e la mia mente inebetita per tanta barbarie”.
Ad ulteriore riprova della presenza e del ruolo di Emilio Formigoni
nella vicenda del 3 gennaio sta la dichiarazione rilasciata dal
Commissario prefettizio Gennaro Firmiani il 26-10-1945, che riporto di
seguito: “Il giorno 3 gennaio 1945 dovetti recarmi a Valleaparte quale
Commissario Prefettizio della zona di Casatenovo perentoriamente
chiamato dall’ingegner Formigoni Emilio, comandante delle BB nere. Per
la fucilazione di ostaggi. Io vidi Formigoni Emilio, Miglioli,
Bonvecchio non so se erano presenti Beretta Antonio e Remigi perché io
ero agitato confuso e sgomentato di dover assistere a tanta barbiere.
Gossetti Federico non era con gli altri delle brigate nere, era con i
sacerdoti e formavano un gruppo a sé. Gossetti non faceva parte degli
esecutori”.

Il 29 marzo del 1947, la Corte d’assise Straordinaria di Como si
pronunciò contro tredici imputati, fra cui Emilio Formigoni, che in quel
momento era probabilmente latitante all’estero. Ben dodici i capi
d’imputazione contro di lui, compresi la rappresaglia di ottobre a
Valaperta, i rastrellamenti di Barzanò e di Monte San Genesio, le
sevizie inferte a Nazzaro Vitale, la razzia di tessuti con tentata
estorsione ai danni di Giuseppe Gaverbi a Casatenovo. La sentenza fu
favorevole a Formigoni, che ottenne l’amnistia. Tra le motivazioni che
condussero a questa decisione, i fatti di Valaperta, il saccheggio e le
violenze guidate anche da Formigoni vennero giustificati come messi in
pratica per mantenere l’ordine e “reintegrare la disciplina”, quindi
come un forma di “collaborazionismo” e non di saccheggio, e in quanto
tale soggetta ad amnistia.
Emilio Formigoni ricomparve a Lecco dove continuò a vivere, facendo
carriera come ingegnere dell’Enel. Morì il 6 febbraio del 2000 a 98
anni.

Infine, prendendo atto della documentazione presente negli archivi
storici – ancora in parte da “esplorare” – e in riferimento alle
testimonianze proposte dal filmato “Ricordando Formigoni” realizzato dal
circolo L’Erba – che ringraziamo per la collaborazione – possiamo
definire come del tutto probabile la presenza di Formigoni come
responsabile sul luogo della fucilazione; le perplessità riguardo il suo
atteggiamento, alla luce dei fatti di cui sopra, risulta un aspetto
secondario, se non irrilevante.
Possiamo solo sperare che l’opera di ricerca compiuta dalle varie
associazioni e circoli prosegua – magari con un maggior impegno da parte
delle locali istituzioni e degli ambiti accademici – portando alla luce
nuovi documenti che possano dare un’immagine ancora più nitida di un
fatto che rimane, pur tra i molti dubbi, il tragico simbolo di un’epoca
permeata di violenze e soprusi, ma anche di motivi e valori che
guideranno l’assemblea costituente alla redazione della odierna
Costituzione e alla costruzione della Repubblica.
 


http://www.trivigante.it/public/tregenda/?p=1689
Il 25 in corteo e sul palco di Milano c’era anche Roberto Formigoni,
governatore della Regione. Il signor Formigoni, colpevole di
innumerevoli illeciti amministrativi e giudiziari, opportunista senza
vergogna sceso in corteo per ragioni di campagna elettorale, spudorato
senza titolo per dire anche una sola parola sulla Resistenza, ha osato
dal palco comparare le ragioni e i torti dei repubblichini e dei
partigiani, dei fascisti e dei comunisti. Il corteo lo ha sommerso di
fischi, come merita.

Il punto, però e ancora una volta, è la memoria. E io, qui, voglio
mettere, ancora, qualche punto fermo: il signor Formigoni è figlio di
Emilio Formigoni, segretario del Fascio e Commissario Prefettizio di
Missaglia, nonché comandante della Brigata Nera, sempre a Missaglia.
Qualche episodio per cui fu processato, contumace, nel 1947:
rappresaglia a Valaperta, sevizie inferte a Nazzaro Vitale,
rastrellamento di Barzanò (con incendio di un cascinale e di un
fienile), rastrellamento di Monte San Genesio, razzia di tessuti con
tentata estorsione messa a segno dalle sue Brigate «in danno di Gaverbi
Giuseppe a Casatenovo», arresti e torture nonché fucilazione di diversi
partigiani e di molti civili senza processo o motivazione. Sono solo
alcune delle prodezze di Formigoni padre e dei suoi scherani.
Può dunque un individuo figlio di cotanto padre impartire lezioni da un
palco, qualsiasi o – a maggior ragione – del 25 aprile? Io dico di no. E
ci aggiungo pure un rabbioso vaffanculo. Ricadono le colpe dei padri sui
figli? In questo caso, caro Formigoni, sì. Vergogna, schifoso.
Per un puntiglio di memoria, vorrei qui recuperare una cosa che scrissi
un anno e mezzo fa a proposito della rappresaglia fascista a Valaperta,
comandata da Emilio Formigoni nel 1944.

Il tutto cominciò con la morte di un militare della GNR, così come
raccontato dal Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana di Como,
il 17.11.1944: «Il 23 ottobre u.s. il milite scelto GAETANO CHIARELLI
del distaccamento della GNR di Missaglia, mentre si recava per assumere
informazioni su un renitente veniva ucciso da banditi a colpi di arma da
fuoco». Scattò la rappresaglia da parte delle Brigate Nere, che
arrivarono a Valaperta. I fascisti chiedono notizie del milite
scomparso, ma nessuno risponde. Allora tirano fuori i lanciafiamme e le
bombe a mano, e le lanciano nei fienili. Le cascine bruciano. Bruciano
gli animali: le mucche, un mulo, i cavalli, i maiali. Sono legati nelle
stalle, e agli abitanti non è stato concesso di portarli via. La signora
che allora era una bimba ricorda che le donne furono obbligate ad
allinearsi davanti all’incendio e a guardare e sentire le bestie che si
struggevano nel fuoco: «Brucerete come loro! Queste bombe saranno per
voi». La Gustìna si agita ancora adesso: «Io avevo quattro figli,
quattro bagaj# madonna, i fascisti! Hanno rovesciato le damigiane di
vino, hanno spaccato tutto. Volevo morire! Siamo scappati nel fango, a
piedi nudi, e loro ci mitragliavano dietro. Ches chi sono i fascisti! Mi
hanno bruciato anche la casa». Restano tutta la notte, le Brigate nere.
Picchiano, minacciano, portano via la gente. Vorrebbero ammazzare la
padrona dell’osteria, rea di aver ospitato i partigiani: la risparmiano
solo perché è incinta. Al mattino trovano il cadavere del milite, che
era stato nascosto sotto un gelso (#). Altre violenze seguono il
ritrovamento, e non è certo finita. Quelli di Valaperta diventano
sorvegliati speciali, alle famiglie vengono tolte per tre mesi le
tessere alimentari (#). Gli uomini restano nascosti nelle campagne
circostanti, chi ha visto bruciare case e stalle – e sono molti – chiede
asilo ai parenti. Vengono catturati, tra gli altri, quattro partigiani,
che vengono torturati e condannati senza processo.
L’uccisione dei quattro partigiani viene fissata per il 2 gennaio, ma la
devono rimandare di un giorno perché la ditta Vismara con il pretesto di
un guasto si è rifiutata di fornire il camion che servirà al trasporto
delle bare. Una relazione ufficiale, datata 22.11.1945, è firmata dal
medico condotto di Valaperta, un omone grande e grosso che ebbe modo di
raccontare al figlio Luigi quella scena orribile, con un partigiano a
terra che gemeva e il fascista venuto a dargli il colpo di grazia: una
scena tale da far gridare ai preti e al medico «Basta, non è mica un
cane!».
Il 26 aprile 1945, il signor Formigoni padre si era già dato, non lo si
trovava. Venne processato in contumacia ma, dati i tempi, venne
amnistiato e condannato solo come collaborazionista. Osceno. Così come
era scomparso, ricomparve. Abitò a Lecco, fece l’ingegnere all’Enel, si
fece vedere pochissimo in giro. Uno studioso di storia locale di
Valaperta, Angelo Galbusera, gli scrisse parecchie volte, senza mai
avere risposta.
Emilio Formigoni è morto il 6 febbraio 2000, a ben 98 anni. Senza
vergogna, come il figlio.
 


http://www.shangriland.net/2009/08/el_puse_catif_lera_lemilio_for.html
El pusè catif l’era l’Emilio Formigoni

Prima lezione di dialetto padano: «El pusè catif l’era l’Emilio
Formigoni». Traduzione: «Il più cattivo era Emilio Formigoni».
L’agghiacciante vicenda esistenziale del padre del più famoso Roberto,
casto esponente della casta ciellina nonché governatore dei lumbard, è
documentata con dovizia di particolari sul blog di un assessore del
Comune di Casatenovo. La storia in sintesi è questa: nel 1944 tale
Gaetano Chiarelli, membro della polizia militare fascista – «uno di
quelli – testimoniarono i concittadini – che quando venivano a cercare i
renitenti alla leva sparava tranquillamente ad altezza d’uomo, anche se
c’erano civili attorno» – viene ucciso a Valaperta dal partigiano
Nazzaro Vitale.
Un contadino segnala l’omicidio ai carabinieri e le Brigate Nere
comandate dal professor Giuseppe Gaidoni e dall’ingegnere Emilio
Formigoni cominciano una spietata caccia all’uomo compiendo razzie e
violenze, minacciando i contadini della zona, affamandoli e dando fuoco
alle loro proprietà perché consegnino i responsabili.
Dopo mesi di rappresaglie, vengono arrestati quattro partigiani: uno di
loro, il Vitale appunto, si autodenuncia come esecutore dell’omicidio,
ma le Brigate Nere decidono ugualmente per l’esecuzione di tutti e
quattro, non prima di averli torturati e seviziati senza pietà per ben
tre giorni (il cadavere di Vitale verrà ritrovato senza più denti in
bocca). Secondo la testimonianza del medico del paese, del figlio e del
Commissario prefettizio (che si dichiara «sgomento» di fronte allo
spettacolo di «tanta barbarie»), la fuciliazione dei quattro avviene il
3 gennaio 1945 ed Emilio Formigoni fa parte del plotone di esecuzione.
Dopo questi fatti, Formigoni fugge all’estero, latitante, e in
contumacia viene processato nel ’47 con dodici capi d’imputazione a suo
carico, tra cui «la rappresaglia di ottobre a Valaperta, i
rastrellamenti di Barzanò e di Monte San Genesio, le sevizie inferte a
Nazzaro Vitale, la razzia di tessuti con tentata estorsione ai danni di
Giuseppe Gaverbi a Casatenovo».
Le malefatte di Formigoni, rubricate alla voce «collaborazionismo» (allo
scopo di mantenere l’ordine e la disciplina!), vengono amnistiate:
Formigoni torna in patria e diventa nientemeno che dirigente dell’Enel.
Morirà nel 2000 a 98 anni.
Ora il figlio Roberto, sedicente seguace di Cristo, che abbiamo visto
con le giugulari grosse così inveire contro il padre di Eluana Englaro
(che diversi cattolici fanatici, lo ricordiamo, hanno definito
«assassino» – tant’è che il buon Roberto ha consegnato una benemerenza
alle pie suore che hanno assistito Eluana a Lecco per la modica cifra di
3800 euro sborsate ogni mese dall’assassino suddetto, questo sant’uomo
strenuo difensore della vita umana, dicevo, ha ovviamente negato ogni
addebito circa il passato del padre, definendolo invece un uomo
«esemplare».
Ora io ricordo molto bene le polemiche seguite alle interviste
rilasciate da Maria Concetta Riina, figlia del capomafia pluriomicida
Totò, e dai figli di Bernardo Provenzano: tutti a lamentarsi, i
benpensanti, perché dai rampolli dei boss non era arrivata nessuna
chiara presa di distanza o abiura rispetto ai padri. E avranno anche
tutte le ragioni del mondo, lor signori, ma non mi risulta che questi
ragazzi (e stendiamo un velo pietoso sul primogenito di Riina,
attualmente in carcere) rivestano ruoli politici di alcun rilievo né che
abbiano mai fatto le anime belle ponendosi a capo, da 14 anni a questa
parte, di un movimento, quello ciellino, del quale i lombardi senza
fette di salame sugli occhi conoscono bene la vasta rete di interessi
economici e politici qui denunciati. Perché nessuno chiede a Roberto
Formigoni due parole di condanna per le azioni del padre e soprattutto
un gesto di pietà postuma, foss’anche uno schifo di targa-ricordo, per
quei quattro partigiani barbaramente torturati e uccisi dalle Brigate
Nere comandate da paparino?

«L’unica volta in cui questa vecchia orribile storia è arrivata – di
striscio – sulle pagine dei grandi giornali è stata nel 1995, quando
Umberto Bossi odiava Forza Italia e i fascisti. Si era alla vigilia
delle elezioni regionali, e Bossi disse che non si doveva votare per il
figlio di un fucilatore di partigiani, pluricondannato (e non era vero).
Formigoni figlio disse che le carte erano false, e che suo padre era un
fascista come tutti gli altri. E non era vero», Marina Morpurgo, Il
sangue dei vincitori.

L’intervento di Roberto Formigoni il 25 aprile di quest’anno in piazza
Duomo, a Milano: «Una parola la voglio dedicare a tutti i morti della
guerra di liberazione, a tutti i giovani e meno giovani che con il
sacrificio hanno portato alla libertà e alla democrazia. Voglio anche
dire che anche dall’altra parte ci furono alcuni in buona fede, che
fecero una scelta sbagliata convinti di servire la patria. Anche a loro
deve andare il rispetto di tutti». Fischiatissimo, Formigoni nega tutto
(tanto per cambiare): «Oggi non ho sentito contestazioni». Amplifon,
presidente?
 


http://www.camera.it/_dati/leg13/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/ivter/074a/divter74a.pdf


http://wai.camera.it/_dati/leg13/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/ivter/074a/relazione.htm

Doc. IV-ter, n. 74-A

Onorevoli Colleghi! – Con atto di citazione del 30 giugno 1995 l’on.
Roberto FORMIGONI citava in giudizio l’on. Umberto BOSSI chiedendone la
condanna al risarcimento del danno in suo favore, sull’assunto che il
convenuto lo aveva gravemente diffamato.
Esponeva, in particolare, l’onorevole Formigoni nel suo atto di
citazione che nel dispaccio dell’agenzia ANSA di Roma del 27/4/95 l’on.
Bossi, leader della Lega Nord, avrebbe fatto la seguente dichiarazione
«… è un dramma che la presidenza della Regione Lombardia sia andata ad
un fascista, figlio di un nazista, fucilatore di ragazzi…».
Nel corso del processo l’on. Bossi eccepiva di aver fatto le
dichiarazioni dedotte in giudizio quale deputato della Repubblica
nell’esercizio delle sue funzioni ed invocava le prerogative di cui
all’articolo 68 della Costituzione.
La questione veniva pertanto rimessa alla Camera dei deputati ed alla
Giunta per le autorizzazioni a procedere, la quale esaminava e discuteva
la vicenda, assumendo poi la decisione che segue, sulla base delle
motivazioni che si passa, rapidamente ad esporre.

* * *

I principi che la Giunta richiama per la formulazione della proposta da
sottoporre al plenum sono ormai certi e consolidati.
In primo luogo non c’è contrasto sul principio che il parlamentare possa
legittimamente invocare l’immunità di cui all’articolo 68 della
Costituzione anche nell’ipotesi in cui svolga la sua attività politica,
purché strettamente riferibile alla funzione parlamentare, al di fuori
del Parlamento.
Per altro verso, le opinioni riferibili al parlamentare non devono
assumere forme semantiche insultanti e dileggiose, pur consentendosi la
critica «forte» e la polemica accesa, quali aspetti ineludibili del
confronto e dello scontro politico.
Orbene, nel caso di specie non può dubitarsi del contesto politico e
parlamentare, ancorché extra moenia nell’ambito del quale l’on. Bossi
rilasciò le sue dichiarazioni, giacché si era all’indomani delle
elezioni amministrative regionali ed i leaders politici di tutti i
partiti erano impegnati in pubbliche esternazioni a commento dei
risultati elettorali.
Quanto poi alla natura delle dichiarazioni de quibus giova osservare che
si è al di fuori dell’ipotesi dell’insulto gratuito del puro dileggio.
L’onorevole Bossi, in forme critiche accese e con accenti molto
polemici, ha evocato fatti ed avvenimenti reali, quali l’attività
antipartigiana svolta da Emilio Formigoni, padre dell’on. Roberto
Formigoni, il quale venne sottoposto a processo penale davanti alla
Corte di Assise di Como nel 1945 per fatti ed imputazioni coerenti con
le dichiarazioni dell’onorevole Bossi.
Si è pertanto in presenza di una denuncia politica e di un giudizio
politico su un avversario, l’on. Roberto Formigoni, che era stato appena
eletto Presidente della Giunta Regionale della Lombardia, di guisa che
applicabile appare al caso in esame la statuizione di favore contenuta
nell’articolo 68 della Costituzione.
Per questi motivi la Giunta propone di riferire all’Assemblea nel senso
che i fatti per i quali è in corso il procedimento concernono opinioni
espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni.

Francesco BONITO, Relatore.
 


http://pdmerate.blogspot.com/2009/12/un-po-di-chiarezza-sulleccidio-di.html
sabato 19 dicembre 2009
Un po’ di chiarezza sull’eccidio di Valaperta
Il consigliere di opposizione a Lomagna Giuseppe Munaò ha presentato
un’interrogazione sull’eccidio di Valaperta di Casatenovo perpetrato il
3 gennaio 1944. L’interpellanza nasce dalla pubblicazione
sull’Informatore comunale di Lomagna appunto di un articolo triste
vicenda avvenuta durante la Seconda guerra mondiale in cui è coinvolto
anche Emilio Formigoni, papà dell’attuale presidente della Regione
Lombardia, responsabile del distaccamento della Brigata Nera “Cesare
Rodini” di Massaglia. Uno scritto che a dire di Munaò mirerebbe a
screditare il governatore lombardo, rivagando vicende ormai passate. Se
è vero che le eventuali colpe dei padri non ricadono sui figli, è anche
bene che si sappia chi sia il padre o, nel caso, il figlio. Gabriele
Fontana, a nome dell’Anpi, Associazione nazionale Partigiani, sezione
“Brianza Lecchese Angelo e Ferruccio Valagussa” ha quindi ricostruito la
storia circoscrivendola unicamente al fatto su chi fosse Emilio
Formigoni, senza dimenticare comunque che lo stesso Umberto Bossi ha
definito Roberto Formigoni “figlio di un fucilatore fascista”. Il 7
gennaio a Lomagna si terrà poi una conferenza sulla questione delle
fucilazioni tra la tra la fine del dicembre 1944 e il gennaio 1945.
Ed ecco la ricostruzione puntuale degli avvenimenti.

l 3 gennaio 1945 a Valaperta di Casatenovo vengono fucilati quattro
partigiani: Natale Beretta, Gabriele Colombo, Mario Villa e Nazaro
Vitali. La zona ricade sotto la gestione del distaccamento della Brigata
Nera “Cesare Rodini” di Massaglia. La fucilazione avviene per
rappresaglia in seguito all’uccisione il 23 ottobre del 1944 del milite
della G.N.R. Chiarelli Gaetano. Responsabile del distaccamento di
Massaglia era Emilio Formigoni che risulta presente sul luogo della
fucilazione il 3 gennaio del 1945 assieme al medico condotto Della Morte
Guerrino, 2 sacerdoti (don Carlo Sala e il suo coadiutore), il
commissario Prefettizio di Casatenovo sig. Gennaro Firmiani e il plotone
di esecuzione composto da 4 persone. Erano altresì presenti, secondo la
deposizione del medico, Raul Remigi, Achille Miglioli (maestro
elementare), forse Permiani ed una persona piccola di 35/40 anni. Dietro
il plotone di esecuzione vi era il brigadiere Bonvecchio. Spesso si fa
confusione tra le varie bande armate della R.S.I., identificando come
“brigate nere” tutti i militi repubblicani. In realtà c’è una differenza
non solo nominativa tra le varie formazioni. Mentre la Guardia Nazionale
Repubblicana (G.N.R.) era la vecchia Milizia Volontaria di Sicurezza
Nazionale (M.V.S.N.) in cui erano confluiti anche i Carabinieri che
avevano accettato di aderire alla R.S.I., le Brigate Nere (BBNN) erano
il partito fascista repubblicano in armi. Dopo il 25 Luglio 1943, con il
ritorno di Mussolini, viene ricostituito il Partito Fascista che non
assume più la definizione di Nazionale ma quella di Repubblicano. Sono i
fascisti duri e puri, quelli che aprono le corti di giustizia anche
contro i vecchi fascisti del ventennio che avevano votato l’ordine
Grandi il 25 Luglio, provocando la caduta di Mussolini, e che verranno
fucilati dopo il processo di Verona. La Brigata Nera “Cesare Rodini” di
Como è comandata dal federale del fascio della provincia di Como Paolo
Porta che, a fine guerra, verrà condannato alla fucilazione (pena
eseguita). Emilio Formigoni, comandante della Brigata Nera di Missaglia,
fa parte dunque della catena di comando del braccio armato del partito
fascista repubblicano e, come tale, ha partecipato o comunque ha
organizzato e diretto le più feroci rappresaglie fasciste nel territorio
di Missaglia e Casatenovo, come risulta dalla sentenza N.12/47 della
Corte d’Assise di Como. Questi sono i dati storici inoppugnabili, per i
quali, dopo la guerra, la Corte d’Assise di Como “ha punito” Emilio
Formigoni, come dice la sentenza, pur concedendogli i benefici
dell’amnistia di cui al D.P. 22/06/1946 n.4, non ritenendo i fatti
imputati configurabili come reati di “saccheggio”, esclusi dall’amnistia
. E’ ovvio che, secondo la giustizia della Repubblica Italiana e secondo
il senso comune, le colpe e le pene riguardano atti individuali, senza
alcun riferimento ai parenti dei colpevoli. In questo senso la vicenda
di Emilio Formigoni riguarda solo lui e il periodo storico in cui essa è
avvenuta.

Gabriele Fontana

Stralcio della sentenza n. 12/47 depositata presso l’Archivio di Stato
di Como
Corte d’Assise Straordinaria di Como

SENTENZA NELLA CAUSA DL PUBBLICO MINISTERO
Contro
1) Guidoni Giuseppe#.Detenuto
2) Bonvecchio Giacomo#Detenuto
3) Petrovich Mario#.Detenuto
4) Sesana Angelo#Detenuto
5) Casiraghi Antonio#in Libertà provvisoria
6) Formigoni Emilio#Latitante
7) Permiani Mario#Latitante
8) Carenati Vincenzo#Latitante
9) Beretta Antonio#Latitante
10) Poncini Gioacchino#Latitante
11) Salomia Vincenzo#Latitante
12) Colombo Enea#Latitante
13) Penati Vincenzo#Latitante

…Il FORMIGONI EMILIO del delitto previsto dagli art. 5 D.L.L. 27/7/944
N. 150 e art. 1 D.L.L. 22/4/1945 N. 142 punito ai sensi degli art. 51 e
58 C.P.M.G. per avere:

a) in concorso con Guidoni, Poncini, Petrovich, e Bonvecchio, nelle
stesse circostanze di tempo e di luogo e colle modalità descritte nelle
imputazioni relative agli imputati di cui sopra; organizzato e diretto,
“l’operazione di rappresaglia, effettuata nella notte dal 23 al 24
ottobre 1944 nell’abitato di Valaperta di Casatenovo;
b) Partecipato in concorso di Guidoni al rastrellamento di Monte san
Genesio, agli ordini del Capitano Butti Plinio, procedendo all’arresto
di Conoscenti Salvatore, Ottolina Luigi ed altri;
c)partecipato in unione a Guidoni Giuseppe al comando del maggiore
Airoldi Alberto nella notte dal 3 al 4 marzo 1945 ad un rastrellamento
in località Montevecchia che portò alla cattura di numerosi partigiani
tra i quali Sala Aquilino, Brivio Ermenegildo, Brivio Primo e Federico;
d) Nel novembre del 1944 arrestato e seviziato in concorso di Parmigiani
e Beretta il patriota Vitali Nazzaro;
e) Il 13 dicembre 1944 in concorso di parmigiani, proceduto all’arresto
dei patrioti Beretta natale, Colombo Gabriele, Mandelli Roberto, Ferrari
Umberto e Scotti Giulio;
f) Nel dicembre 1944, in unione al Permiani comandato personalmente un
rastrellamento in Barzanò alla ricerca di un gruppo di Carabinieri
fuggiti alla deportazione in Germania; procedendo all’incendio di un
cascinale e di un fienile in località Guast con danni rilevanti;
g) Il 1° aprile del 1945 invaso e perquisita la villa del sig. Forti
arrestandolo e sottoponendolo ad atti umilianti;
h) Il 23 febbraio 1945; in Casatenovo fatto asportare dalle Brigate Nere
di Massaglia tessuti per un valore ingente in danno di Gaverti Giuseppe
tentando di estorcere allo stesso la somma di L. 40.000;
i) in concorso con Permiani e Beretta nel febbraio del 1945 organizzato
una spedizione per arrestare nella cascina Ponziani il patriota
Commissario di Guerra Leone del distaccamento Carlo Marx della
55abrigata Rosselli
l) in concorso di Permiani Mario estorto, nel febbraio del 1945, la
somma di L. 15.000 a margiani Erminio
m) Proceduto all’arresto del patriota Bernardini Ulderico
n) in concorso con Cesana, Casiraghi Antonio, Permiani Mario, invaso a
mano armata la casa di Usuelli Albina, in Ponzano di Casatenovo, per
arrestare il patriota Valagussa Giovanni; minacciando di colpire con
bombe a mano la famiglia Usuelli e di bruciarne la casa, procedendo
infine all’arresto dell’Albina Usuelli, ai danni della quale si
impossessava di una borsetta contenente l. 27.800 un orologio e di
oggetti vari di biancheria e vestiari….
 


http://lombardia.anpi.it/media/blogs/lombardia/celebrazioni_valaperta_lecco2008.pdf
63° ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO DI VALAPERTA
13 Gennaio 2008 – VALAPERTA DI CASATENOVO
Commemorazione Ufficiale

Intervento del Rappresentante dell’ANPI Comitato Provinciale di Lecco Domenico Basile:
Buongiorno. Sono onorato di portare il saluto del Comitato Provinciale
dell’ANPI a questa commemorazione ufficiale dell’eccidio di Valaperta.
Saluto e ringrazio dell’invito i Sindaci dei Comuni di Arcore, Bellano,
Biassono, Casatenovo, Lomagna e Missaglia che hanno promosso questa
iniziativa, le Forze Politiche e le Autorità presenti.
So che è facile il rischio della retorica in questi interventi. Per ridurlo vorrei
ricordare i fatti nel modo più oggettivo possibile e per questo vi leggerò le
dichiarazioni di due testimoni oculari, rese a poca distanza dai giorni dell’eccidio.
La prima è di Gennaro Firmiani, Commissario Prefettizio di Casatenovo, il
quale il 26 ottobre 1945 firma la seguente dichiarazione: “Il giorno 3 gennaio
1945 dovetti recarmi a Valleaperta quale Commissario Prefettizio della zona
di Casatenovo, perentoriamente chiamato dall’ingegner Formigoni Emilio,
comandante delle BB nere. Per la fucilazione di ostaggi. Io vidi Formigoni
Emilio, Miglioli, Bonvecchio, non so se erano presenti Beretta Antonio e
Remigi perché io ero agitato confuso e sgomentato di dover assistere a tanta barbarie.”
La seconda è di Guerrino Della Morte, medico condotto di Valaperta, il quale
il 22 novembre 1945 firma la seguente dichiarazione: ” Verso le 10.30 del
3.1.1945 venne per ordine del Commissario Prefettizio di Casatenovo Sig.
Gennaro Firmiani, dicendomi di recarmi a Valleaperta ove era necessaria la
mia presenza. Colà giunto trovai 2 sacerdoti Don Carlo Sala e il suo
coadiutore. Dall’abitato di Valleaperta usciva il BB nero sig. Bonvecchio
Giacomo, un sottotenente giovanissimo e due militari, arrivarono poi una o
due motociclette, un motofurgone, una o due automobili e un camioncino.
Dalle macchine scesero varie persone quasi tutti in borghese armati di mitra,
sul camioncino stavano 4 partigiani che dovevano essere fucilati, notai sul
loro viso atroci sofferenze. Sopraggiunto il Commissario Prefettizio il quale
era allibito di dover assistere, ma gli fu imposto di restare. Giunti sul posto
prescelto i 4 partigiani furono spinti oltre la curva e scomparvero alla mia
63° Anniversario Eccidio di Valaperta – Domenico Basile – 13 Gennaio 2008 – pag.1/5
vista. Il plotone di esecuzione era composto di 4 persone: erano presenti
Ing.Emilio Formigoni, Raul Remigi, Achille Miglioli maestro elementare, forse
Parmiani e una persona piccola di 35/40 anni , chi sparò era in borghese.
Dietro il plotone di esecuzione vi era il brigadiere Bonvecchio. Sentii sparare.
Vi era una persona sui 45 anni di media statura con un impermeabile grigio
che incitava a mirare nel segno perché alcuni di questi erano riluttanti e
sdegnati per quanto stavano per fare. Il Vitali Nazzaro presentava evidenti
segni di gravi sevizie subite in precedenza, gli mancavano quasi tutti i denti,
due erano morti subito. Colombo e Beretta da Arcore furono ripetutamente
colpiti col mitra e con rivoltella. Constatata la morte, segnai i nomi dei caduti,
composi le membra straziate per quel tanto che permisero il mio spirito
scosso e la mia mente inebetita per tanta barbarie.”
Questo fu l’epilogo di una vicenda iniziata il 23 ottobre 1944, quando il
brigadiere del distaccamento di Missaglia della G.N.R., richiesto di fornire
informazioni su di un renitente alla chiamata alle armi di Valaperta, incaricò
un suo milite, Gaetano Chiarelli, di andare al Comune di Casatenovo per
avere notizie da trasmettere alla sede superiore. Il milite incaricato, non
avendo ottenuto sufficienti informazioni in Comune, decise di sua iniziativa di
recarsi presso la casa del giovane a Valaperta.
Traggo questa ricostruzione dal volume “Di generazione in generazione –
Valaperta e Rimoldo – Origini Storia Cultura Tradizioni” a cura della
Parrocchia San Carlo. Quel giorno nella valle della Bergamina di Maresso si
era concentrato un gruppo di partigiani, capeggiato da Ferrario di Rogoredo e
Farina di Casatenovo: due partigiani che, dopo aver fatto parte delle
formazioni della Valsassina, erano scesi al piano. I partigiani si avviarono
verso Valaperta dirigendosi all’osteria dove di solito facevano tappa. Giunti
alle prime case della frazione, una donna corse loro incontro dicendo che
c’erano dei repubblichini. Alcuni partigiani circondarono il gruppo di case e il
cortile e si accorsero trattarsi di uno solo, il milite Chiarelli, già noto ad alcuni
di loro per il suo zelo fascista: lo affrontarono, intimandogli di alzare le mani e
consegnare le armi e la bicicletta e di fronte al suo rifiuto gli spararono
addosso, uccidendolo. Erano circa le 16.30 di un lunedì e le donne stavano
facendo il bucato. Gli abitanti di Valaperta che avevano assistito e conosciuto
il fatto erano costernati: temevano la rappresaglia. Verso le 20.30 arrivarono
a Valaperta il brigadiere della G.N.R. e alcuni suoi uomini. Tentano di far
parlare gli abitanti ma tutti tacciono, terrorizzati. Minacciano di incendiare le
case e l’intera frazione ma nessuno parla. Verso le 22.30 piomba su
Valaperta, da Merate, un gruppo di una quindicina di brigatisti neri e da
Missaglia il Commissario Prefettizio e il Comandante del Distaccamento della
Brigata Nera, Ing. Emilio Formigoni. Alcuni degli inquirenti perquisiscono
l’osteria e le zone circostanti, alla ricerca del corpo del milite ucciso. Mentre
stanno ritornando verso le case, odono un intenso fuoco di fucileria, raffiche
63° Anniversario Eccidio di Valaperta – Domenico Basile – 13 Gennaio 2008 – pag.2/5
di mitra e scoppi di bombe provenire dalla borgata e quando vi giungono
trovano una trentina di militi della G.N.R. che sparano all’impazzata nei cortili,
incendiano i fienili e ordinano alla gente di uscire dalle case. Il capitano
comandante, indifferente, guarda i suoi uomini in azione e a chi gli chiede di
calmarli risponde che quegli uomini sono da poco rientrati dalla Valsassina
dove hanno subito pesanti perdite ad opera dei partigiani, che sono eccitati
per l’uccisione del Chiarelli, che lui non può fermarli e che il morto appartiene
alla G.N.R. la quale è nel pieno diritto di vendicarlo come crede. Intanto le
fiamme divampano, le bestie nelle stalle impazziscono, le urla, il pianto e i
lamenti delle donne e dei bambini si mischiano alle imprecazioni degli
aggressori. Vengono ripetutamente percosse le persone e razziate le case,
asportando oggetti, viveri, biancheria, tutto.
Nei mesi di novembre e dicembre le indagini, condotte anche con il duro
interrogatorio di persone di Valaperta presso la sede della Brigata Nera di
Merate, portarono alla cattura di alcune persone. Ai primi di gennaio del
1945, la Brigata Nera di Missaglia viene incaricata di reperire un autocarro
con cui portare alla camera mortuaria di Casatenovo quatto bare da utilizzare
per quattro partigiani, ritenuti colpevoli dell’uccisione del Chiarelli, già arrestati
e che saranno fucilati, senza processo, il 3 successivo. Sono Natale Beretta
di Arcore, anni 25; Nazzaro Vitale di Bellano, anni 24; Mario Villa di Biassono,
anni 23; Gabriele Colombo di Arcore, anni 22. Pochi giorni dopo, il 13 di
gennaio, i fascisti riuscirono ad individuare, grazie ad una spia, il luogo dove
si erano rifugiati Mario Ferrario e Angelo Farina la cui presenza era stata
segnalata a Valaperta il 23 ottobre. In ottanta accerchiarono la capanna dove
si trovavano, nel territorio di Eupilio, presso Erba, e dopo un conflitto a fuoco
durato circa due ore, i due partigiani furono uccisi. Nella nostra zona, i fucilati
di Valaperta furono preceduti dagli eccidi a Barzio e Maggio in Valsassina e
dai sei fucilati a Fiumelatte.
Per i fatti di Valaperta vi fu un processo, nel 1947, nel quale i principali
responsabili furono chiamati a rispondere di 12 capi di imputazione tra cui,
oltre le fucilazioni, rappresaglia e saccheggio, sevizie e rastrellamenti,
estorsioni. La Corte decise che queste imputazioni, per quanto in parte
accertate e in parte derubricate, non erano ostative alla concessione
dell’amnistia che venne riconosciuta a tutti gli imputati. Nessuno quindi ha
pagato per la barbarie, se non nell’intimo della propria coscienza, per chi ne
conservava una.
Questi i fatti che commemoriamo oggi. Potrei fermarmi qui e lasciare che
questi ricordi ritornino in noi, con la loro carica evocativa e con il messaggio
che silenziosamente ci portano. Essi ci parlano di come l’uomo possa
diventare disumano, di come la civile convivenza si possa trasformare in
63° Anniversario Eccidio di Valaperta – Domenico Basile – 13 Gennaio 2008 – pag.3/5
barbarie, di come la spirale dell’odio, una volta innescata, diventi inarrestabile
e distruttiva.
Il conflitto, l’inimicizia, la guerra fanno parte – purtroppo – della realtà umana.
Ma questa consapevolezza non deve portare a considerarli eventi inevitabili,
da subire con rassegnata impotenza. Sono eventi provocati da cause precise
che tutti conosciamo e si chiamano avidità, ingiustizia, volontà di potenza,
orgoglio, megalomania, culto della forza, disprezzo dei deboli. Non c’è un
solo conflitto dei tanti che hanno insanguinato la terra – e che tuttora
devastano popoli e territori – che non sia riconducibile a queste cause.
Quando i conflitti esplodono e diventano guerre fratricide, tutto è possibile, i
comportamenti più efferati diventano normali, uomini acculturati, di buoni
studi e civili consuetudini possono diventare belve sanguinarie. Quando i
conflitti esplodono, l’umanità e la barbarie, il coraggio e la viltà, gli idealisti e
gli opportunisti si mescolano. Così che diventa possibile trovarli da una parte
e dall’altra, tra i “nostri” e tra i “loro”. Ciò detto, non va però dimenticato che ci
sono limiti che non dovrebbero essere superati, che c’è una scala su cui
misurare azioni e comportamenti e – soprattutto – che ci sono valori e disvalori.
Il fascismo – è stato detto da fonte inattesa e insospettabile – è il male
assoluto. Più pacatamente si può dire che è un disvalore che si basa su
un’idea sbagliata della convivenza umana, quella in cui esistono uomini e
sottouomini, sommersi e salvati, in cui il diritto della forza prevale sulla forza
del diritto. Il rispetto degli altri che si esprime nella giustizia, nella solidarietà,
nella comune libertà è un valore. Possiamo fermarci qui e dire con semplicità,
con pacatezza ma anche con determinazione assoluta che questi valori e
disvalori non sono equiparabili, che questi valori davvero non sono
negoziabili e che chi ha combattuto per difenderli non è assimilabile a chi ha
combattuto per negarli.
Gli uomini e le donne che hanno resistito al fascismo non erano cavalieri
senza macchia e senza paura: erano uomini e donne ordinari, come la
maggior parte di noi, a cui la sorte chiedeva una scelta, di fronte al
disfacimento dello stato, nel mezzo di una guerra assurda e di una disfatta
vergognosa, sotto la feroce occupazione dell’esercito germanico, già alleato
del fascismo in una folle avventura.
Gli uomini che vanno in montagna sono giovani che non vogliono più
combattere, che rifiutano di essere arruolati in un esercito da operetta,
richiamati alle armi da un regime collaborazionista, privo di legittimità. E
tuttavia alla fine scelgono di combattere, imparando a proprie spese, perché
nessuno sa esattamente in cosa consista la guerra partigiana: è facendo leva
63° Anniversario Eccidio di Valaperta – Domenico Basile – 13 Gennaio 2008 – pag.4/5
sulla disorganizzazione fascista e sulla capacità individuale di pochi quadri
che la resistenza armata, durante il 1944, riesce a prendere piede e a
raggiungere parecchi obiettivi. Questi primi risultati provocano il rinsaldarsi
dei quadri fascisti e, con la forza militare degli occupanti nazisti, costringono
la resistenza a ripiegare su azioni di sabotaggio, guerriglia e talvolta di
terrorismo. La spirale dell’odio si allarga: dove prima si arrestava, ora si fucila
senza processo, la popolazione è coinvolta in azioni indiscriminate di
rappresaglia, decimazione e saccheggio. La faccia truce della violenza
fascista, quella più efferata delle Brigate Nere, si abbatte sui prigionieri e sui
catturati e, quando non è la cella buia, le sevizie o la fucilazione, è la via della
Germania, della deportazione, dei campi di lavoro e di sterminio. La logica di
questa violenza è che il terrore, la paura, la vendetta devono essere sparsi a
piene mani, in modo che la popolazione si rinchiuda nelle case o passi con i
fascisti o comunque, in nessun modo, sia sostegno di popolo alle azioni partigiane.
Il fascismo non è il male assoluto, come ebbe a dire Gianfranco Fini, è
piuttosto una malattia, un morbo maligno del corpo sociale di cui si può
morire, singoli e popoli, ma di cui si può anche guarire. La rinascita del
popolo italiano, dopo la catastrofe della guerra, fu sigillata dalla firma di un
nuovo patto sociale, quella Costituzione del 1948 di cui in questi giorni
celebriamo il 60° anniversario. E’ un patto di giustizia nella libertà, un patto di
solidarietà che vuole assicurare a tutti condizioni di partenza non troppo
svantaggiate, perché ognuno possa dare il meglio di sé nella vita. E’ una
Carta Costituzionale di grande equilibrio e saggezza, consapevole del
passato da cui veniamo, dei rischi a cui ci espone il nostro carattere
nazionale, così refrattario, talvolta, a rispettare le regole comuni, con anticorpi
deboli rispetto al virus di un fascismo sempre in agguato, come ci ricordano i
molti recenti episodi di violenza, verso persone e simboli della Resistenza.
E tuttavia, il rinnovarsi di questo ricordo che ogni anno ci riporta a Valaperta è
motivo di speranza. La speranza che il nostro popolo sappia ritrovare una
identità, fatta dei suoi pregi tradizionali, della sua umanità, della sua apertura
al diverso e allo straniero, della sua capacità di amalgamare culture e
sensibilità diverse; la speranza che così, per questa via, possa trovare nuova
coesione, nuova solidarietà, nella convinzione – come ebbe a dire Luciano
Zardi la sera del 3, al cippo di Valaperta – che facciamo parte tutti di un’unica
entità, che non dobbiamo dividerci in gruppi e fazioni in lotta, ma, pur nella
diversità di opinioni, dobbiamo riconoscerci in un patrimonio di storia e
tradizioni comuni.
Per questo ritorneremo a Valaperta, per ritrovare speranza e rinnovare la
nostra volontà di resistere a coloro che operano per cancellarla.
63° Anniversario Eccidio di Valaperta – Domenico Basile – 13 Gennaio 2008 – pag.5/5
 


http://brianzolitudine.splinder.com/post/8540896
Il 23 ottobre 1944 il brigadiere del distaccamento di Missaglia della
Guardia Nazionale Repubblicana incarica un suo milite, Gaetano
Chiarelli, di fornire informazioni su di un renitente alla chiamata
alle armi di Valaperta, frazione di Casatenovo.

Un gruppo di partigiani, avvertiti della presenza del repubblichino in
Valaperta, circondano il gruppo di case e intimano al Chiarelli di
alzare le mani e consegnare loro la bicicletta e le armi; di fronte al
suo rifiuto gli sparano addosso, uccidendolo. Alle 22,30 piombano su
Valaperta una quindicina di brigatisti neri.

Intanto sopraggiunge anche il segretario del Fascio e il Commissario
Prefettizio di Missaglia, nonchè comandante del locale Distaccamento
della Brigata Nera, l’ingegner Emilio Formigoni, padre dell’attuale
presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.

I militi della G.N.R., sparsi per la cascina, sparano all’impazzata nei
cortili, incendiano stalle e fienili, razziano le case, percuotono
persone inermi per tre giorni per ottenere i nomi dei partigiani, sotto
gli occhi indifferenti del capitano che risponde, a chi gli chiede di
calmare i suoi uomini, che essi stanno esercitando la legittima
vendetta del camerata ucciso.

Vengono arrestati per l’uccisione del Chiarelli quattro partigiani,
poco più che ragazzi: Natale Beretta e Gabriele Colombo di Arcore,
Nazzaro Vitale di Bellano, Mario Villa di Biassono.La mattina del 3
gennaio 1945 a Valaperta i quattro partigiani vengono fucilati.

Dopo la guerra il Formigoni scappa in esilio ma – condannato in
contumacia – può rientrare tranquillamente in Italia, contando
sull’amnistia togliattiana.
 


http://www.ecn.org/antifa/article/76/CamerataFormigonicomandantedelleBrigateNere
pubblicato il 31.03.05
Camerata Formigoni comandante delle Brigate Nere ·

L’eccidio di Valaperta di Casatenovo Per non dimenticare Il 3 gennaio
1944 le Brigate Nere di Missaglia, comandate da Emilio Formigoni (padre
dell’attuale presidente della Regione), fucilano quattro partigiani a
Valaperta di Casatenovo

Il 23 ottobre 1944 il brigadiere del distaccamento di Missaglia della
Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) incaricò un suo milite, Gaetano
Chiarelli, di fornire informazioni su di un renitente alla chiamata alle
armi di Valaperta.
Un gruppo di partigiani, avvertiti della presenza del repubblichino in
Valaperta, circondarono il gruppo di case e intimarono al Chiarelli di
alzare le mani e consegnare loro la bicicletta e le armi; di fronte al
suo rifiuto gli spararono addosso, uccidendolo.
Alle 22,30 piombano su Valaperta una quindicina di brigatisti neri.
Intanto era sopraggiunto anche il segretario del Fascio e il Commissario
Prefettizio di Missaglia, nonché comandante del locale Distaccamento
della Brigata Nera, l’ingegner Emilio Formigoni, padre dell’attuale
presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.

I militi della G.N.R., sparsi per la cascina, sparano all’impazzata nei
cortili, incendiando le stalle e i fienili, razziando le case,
percuotendo le persone inermi per tre giorni per ottenere i nomi dei
partigiani, sotto gli occhi indifferenti del capitano che risponde, a
chi gli chiede di calmare i suoi uomini, che essi stanno esercitando la
legittima vendetta del camerata ucciso.

Vengono arrestati per l’uccisione del Chiarelli quattro partigiani:
Natale Beretta di Arcore di 25 anni, Nazzaro Vitale di Bellano di 24
anni, Mario Villa di Biassono di 23 anni, Gabriele Colombo di Arcore di
anni 22.
La mettina del 3 gennaio 1945 a Valaperta i quattro partigiani vengono
fucilati.
All’esecuzione erano presenti i militi della G.N.R. di Missaglia, il
Commissario prefettizio di Casatenovo, prof. Firmiani, il medico
condotto dott. Della Morte e il comandante della Brigata Nera di
Missaglia, ing. Formigoni.

Dopo la guerra Formigoni scappò in esilio ma condannato in contumacia
solo come collaborazionista potè rientrare tranquillamente in Italia
così come tanti altri fascisti.

Dalla popolazione locale Formigoni papà è ricordato anche per aver più
volte sequestrato e seviziato inermi civili. Roberto il figlio ha sempre
negato il passato del padre ed anzi ne ebbe a citare positivamente
l’esempio.